Non è colpa mia
Vi vedo, vi sento tutti, qui su facebook, su twitter ma anche per strada, in fila alla cassa del discount o alle poste, sull’autobus e in metro, nell’ascensore. Li sento i vostri discorsi tutti uguali, le vostre frasette pronte già sentite mille volte, l’odore della vostra paura, quella paura del mostro sotto il letto, del babbau, dell’uomo nero, delle ombre del lampadario e dei vestiti sulla sedia, la paura dei lampi e dei tuoni di chi non è mai cresciuto, non ha mai avuto il coraggio di diventare adulto, la paura di chi ha rubato la marmellata e col muso sporco continua a negare che no, «non sono stato io».
«Non sono stato io a sporcare il bagno perché non ho alzato la tavoletta. No, si è sporcato da solo o è stato qualcun altro. No, non sono stato io a incidere quella parolaccia con la punta della chiave sulla porta dell’ascensore. Non è colpa mia se le cose sono sempre andate male e se vanno male ancora adesso che dovrei essere adulto. No, la colpa è della società, la colpa è dello stato, la colpa è dei politici, della kasta, la colpa è di quelli che c’erano prima, la colpa è di quei professoroni, quegli scienziati che mi ricordano che non ho capito niente, che non ho avuto voglia di studiare perché ero troppo pigro, e mi fanno sentire una nullità. Ma per fortuna c’è chi mi ha detto la verità. C’è chi l’ha capito che non è colpa mia, che io, in realtà, non sono quella merdaccia che vedo nello specchio tutte le mattine. Che io, in realtà, sono meglio di tutti gli altri, che io vengo prima di tutti gli altri, che i miei diritti sono più diritti dei diritti degli altri e non perché me li sono meritati ma solo perché io sono io e gli altri non sono un cazzo. C’è chi pensa a me e amorevolmente mi asseconda, accarezza la mia pancia gonfia e tronfia e apprezza e ripete le flatulenze che mi escono dalla bocca al posto delle parole. Le ripete su facebook, su twitter, per strada, in fila alla cassa del discount o alle poste, sull’autobus e in metro, nell’ascensore, le stesse mie parole oscene. Che non ricordo più se le ho dette e pensate io per primo o me le ha suggerite prima lui, il mio leader, il mio condottiero, il mio duce, il mio papa, il mio premier, il mio portavoce, il mio führer. E invita tutti quelli come me a ripeterle assieme, in coro, dai… ripetiamo tutti insieme la stessa frase, tutti in piedi, saltellando, a ritmo, con la mano alzata, dai… che è tutto bello, bello, bellissimo. Essere tutti insieme a cantare i cori a squarciagola, con le vene della gola che pulsano a tempo, con gli occhi annebbiati dall’emozione e la testa leggera. Come allo stadio. Che siamo tutti un solo cuore, una sola mente, un solo neurone condiviso che si accende all’improvviso. Sbavare tutti insieme al suono del campanello. Che pensare da soli è troppo faticoso. Che se siamo uniti vinceremo. Che marceremo su Roma. Che se siamo tutti insieme nel nostro branco bello, bellissimo forse non mi si riconosce, forse non si capisce la nullità che sono veramente, che qui finalmente conto qualcosa, faccio parte di qualcosa e la mia vita ha un senso.»