Senza appello
All’epoca di Auschwitz ufficialmente non si sapeva, anche se si poteva intuire, e la coscienza poteva invocare un alibi.
Oggi NO, non c’è alibi, non si può pretendere di non sapere. Le immagini parlano, urlano, le notizie scorrono continue sulle nostre tv, sui nostri tablet e smartphone, sui nostri feednews, rimbalzano sui socialnetwork come in un gioco di specchi.
Siamo coinvolti inevitabilmente, siamo colpevoli anche solo voltandoci per non vedere la sofferenza, i cadaveri nei barconi e nei camion, per non sentire le urla dei disperati mentre stiamo pranzando o seguendo il nostro serial preferito.
Siamo colpevoli ignorando volutamente le cause (nei paesi di origine) e poi le conseguenze (nei mari, sulle strade, nei centri di “accoglienza”, nei campi di pomodori, nei cantieri) di questo nostro disumanizzato modo di vivere.
Siamo colpevoli ancor di più invocando chiusure e frontiere, costruendo i muri, impostando priorità, decidendo a tavolino e per convenienze oscene che una vita umana vale meno di un’altra, e che un budget vale comunque più di quella vita umana.
Una vita umana che oggi, più di ieri, è vittima dell’oblio di una coscienza addormentata, anestetizzata, distratta, deviata, annullata.
L’umanità sta prendendo una china pericolosa, una discesa senza freni, una rotta di collisione con un iceberg più grosso di noi.
Svegliamoci tutti, compreso lo scrivente, apriamo i nostri occhi, le nostre orecchie, i nostri cuori altrimenti al prossimo iceberg, al prossimo asteroide, al prossimo diluvio universale non ci sarà un Noè, non ci sarà un appiglio, non ci sarà appello.